Fra gli interventi previsti dal Programma Sperimentale del Contratto di Quartiere, che l'Amministrazione Comunale di Vibo Valentia
ha sottoscritto con varie figure pubbliche e private, sono compresi i lavori di “Nuova edificazione, recupero primario
e recupero secondario” dell'edilizia sovvenzionata sperimentale.
Nell’area immediatamente a nord del Quartiere Affaccio il Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) ha individuato, fra le altre,
la frana distinta con la sigla VIBO13. L'area a rischio R4, ad essa associata, avrebbe reso impossibile, secondo le Norme di Attuazione,
l’esecuzione di alcuni degli interventi previsti dal progetto.
Da un’attenta analisi dei vari elaborati prodotti dall’Autorità di Bacino Regionale, lo studio ha da subito evidenziato alcune importanti incongruenze,
circa la reale portata del movimento franoso, ma si è tuttavia ritenuta necessaria una verifica della sua effettiva pericolosità.
La fase di approfondimento dello studio è stata imperniata sull'analisi geomorfica multitemporale basata su fotografie aeree relative ai voli
del 1937, 1955, 1975, 1983, 1990 e 2002.
L'indice delle foto aeree mostra le varie stereocoppie, a differente scala nominale, che hanno permesso di ricostruire, nell’arco di ca. 65 anni,
l'evoluzione geomorfologica del versante, seguendo le variazioni delle varie scarpate, dell'attività erosiva riconducibile al dilavamento delle
acque di ruscellamento, e le modifiche antropiche conseguenti a lavori di scavo o all'accumulo di materiale di riporto.
L'ampio intervallo temporale coperto dalle fotografie aeree è stato possibile delineare con precisione i limiti
dei principali corpi di frana individuati nell'area, e valutarne il loro stato di attività.
Per tutti i voli a disposizione, oltre alle stereocoppie, sono stati commissionati anche gli ingrandimenti ottici relativi all'area di studio,
in maniera da ottenere per tutti una scala omogenea, pari all’incirca ad 1:3.800.
Al tavolo digitalizzatore, direttamente da tali ingrandimenti, è stato quindi rilevato il limite di valle della presunta frana,
considerato coincidente con la scarpata di controripa della Strada Comunale Gallizzi, che in quel tratto, seguendo la naturale morfologia convessa
del versante, compie un’ampia curva.
La deformazione fotografica degli elementi digitalizzati è stata corretta in automatico, proiettando nel sistema di riferimento Gauss Boaga
quattro capisaldi di riferimento corrispondenti ad altrettanti fabbricati presenti su tutti i fotogrammi delle 6 levate aeree.
Le linee digitalizzate sono state quindi georeferenziate automaticamente, e rese direttamente sovrapponibili alla base cartografica di riferimento.
L'esperienza condotta ha dimostrato che, per ottenere la massima correzione possibile, è necessario ricercare punti di riferimento più vicino possibile
alla zona d’interesse mentre, al contrario, ampliando eccessivamente l'area di sovrapposizione le deformazioni aumentano progressivamente fino
a rendere inutilizzabile tale metodologia.
La bontà di questa sorta di rettifica automatica dipende infatti da vari fattori come, ad esempio, le differenti quote (e quindi differenti scale)
di ripresa con conseguente differente distorsione delle immagini, o da limiti oggettivi come la diversa percezione della lineazione seguita, a
causa di una differente inclinazione dell’angolo di ripresa, una differente illuminazione oppure, più semplicemente, una differente qualità
dell’ingrandimento.
Nonostante tali limiti, il risultato finale si è rivelato più che soddisfacente e già da solo sufficiente a dimostrare la sostanziale
stabilità dell’area perimetrata dal PAI come area in frana.
Pur sovrapponendosi solo parzialmente, le linee che rappresentano, nell'intero periodo considerato, la medesima scarpata, denotano infatti
una straordinaria persistenza della sua morfologia, e quindi di quella della superficie topografica della presunta area in frana.
Ben altra evoluzione avrebbero infatti avuto tali elementi in un versante soggetto ad un movimento gravitativo che certamente avrebbe inarcato
ulteriormente, o comunque modificato, il tracciato stradale sottostante.
All'analisi multitemporale dell’assetto geomorfologico da fotointerpretazione sono naturalmente seguiti i rilievi diretti sul terreno
e una campagna di indagini in sito condotta con sondaggi geognostici e prospezioni sismiche a rifrazione.
Successivamente alle indagini in sito ed alle immancabili prove di laboratorio, è stato possibile effettuare le necessarie verifiche di stabilità
di versante con riferimento alle sezioni stratigrafiche elaborate sulla base dei dati acquisiti.
Alle indagini condotte appositamente per lo studio in oggetto sono inoltre state affiancate quelle già effettuate per lo studio geologico geotecnico,
sempre redatto dallo studio Terra & Acqua, per la progettazione definitiva ed esecutiva degli stessi interventi previsti dal programma sperimentale,
consistiti, anche in quell'occasione, in sondaggi geognostici, prove di laboratorio, e prospezioni sismiche in foro.
Grazie agli inclinometri installati nei perfori dei sondaggi, l'area ritenuta della frana VIBO13 è stata monitorata per 22 mesi.
Nelle sue valutazioni finali lo studio è stato in grado di dimostrare come tutti gli elementi, erroneamente considerati come indizi di un movimento
franoso in attività, fossero in realtà privi di alcun riscontro oggettivo o, quando accertati, ricadessero all’esterno dell’area perimetrata con
la sigla VIBO13 ed in particolare:
La proposta conclusiva dello studio, ovvero la totale eliminazione della frana VIBO13, è stata approvata il 22.06.2006 con delibera n° 29 del Comitato Istituzionale dell'Autorità di Bacino Regionale.
Nell'ambito del Progetto per il potenziamento della dotazione idrica dell’Agglomerato Industriale di Porto Salvo con il quale
il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Vibo Valentia intende fare fronte alla crescente domanda di fornitura
idrica da parte delle varie aziende, a seguito di varie ricerche dirette (trivellazioni) dall'esito negativo, è stata condotta una indagine
idrogeologica finalizzata all’individuazione di siti idonei alla perforazione di nuovi pozzi.
Nell'area compresa fra i Torrenti Candrilli e Sant'Anna, ritenuta d’importanza strategica dal CSI, estesa circa 3.60 km² a monte degli
abitati di Porto Salvo e Bivona, è stato studiato l'intero sistema idrogeologico sotterraneo ricostruendone le caratteristiche
morfologiche, idrodinamiche, qualitative e quantitative articolando il lavoro in tre fasi ben precise:
Per l’intera area che é stata, ed é in parte ancora oggi, oggetto di un intenso sfruttamento delle acque sotterranee con
la realizzazione di numerosi pozzi che tuttavia, per gran parte, hanno manifestato problemi di efficienza e/o di qualità,
non esistevano studi e/o ricerche rivolti alla definizione della reale consistenza delle risorse idriche sotterranee.
Le condizioni al contorno erano dunque tali da rendere lo studio un primo tentativo per arrivare a delineare i caratteri
dell’intero acquifero per poter intraprendere azioni tese alla sua salvaguardia ed ad uno sfruttamento razionale.
L’area dell'indagine è stata delimitata, dopo un'analisi delle cartografie di base ed alcuni sopralluoghi, tenendo conto non solo
del contesto territoriale d’interesse del CSI, ma di considerazioni idrogeologiche generali, con riferimento all’assetto
stratigrafico-strutturale delle principali formazioni geologiche affioranti e sepolte, e dell’area d’influenza dei bacini
idrografici afferenti ai due corsi d’acqua.
Il lavoro di campagna é consistito in una serie di misure e di prelievi di campioni, su una rete di ben 26 pozzi e 2 sorgenti,
individuati in maniera tale da ottenere una copertura del territorio quanto più possibile omogenea.
Nel misurare i livelli statici, per i pozzi ad uso produttivo industriale, e quindi a pompaggio continuato, si è
avuta l’accortezza di programmare l’arresto delle pompe con un anticipo di almeno 24 ore.
Parallelamente alla campagna freatimetrica è stato effettuato il prelievo di campioni d’acqua per la determinazione, in laboratorio,
dei principali ioni in soluzione, mentre direttamente in campo sono stati determinati i principali parametri fisici come temperatura,
conducibilità elettrica e pH, mediante uno strumento multiparametrico portatile di elevata precisione.
Tutti i parametri fisico chimici rilevati sono stati oggetto di un'ampia serie di elaborazioni grafiche e cartografiche che hanno
condotto ad una serie di valutazioni circa l’idrodinamica dell’acquifero e la qualità delle acque.
Mai come prima, in questo lavoro, abbiamo applicato il nostro GIS per modellare un acquifero, elaborando, con riferimento alla
carta di base, tutti i dati e le informazioni raccolte per arrivare, con l'incrocio di vari tematismi, all’elaborato
cartografico finale, ovvero la carta delle aree idonee alla ricerca.
Lo studio ha delineato un acquifero dal deflusso alquanto superficiale, che si svolgerebbe essenzialmente all’interno
della copertura terrigena, lasciando alla roccia di base una semplice funzione di sostegno.
La geometria della tavola d'acqua superficiale evidenzia come il deflusso sia notevolmente influenzato da un pozzo ad uso idropotabile,
in funzione h24, che esercita un forte richiamo sull'intera falda fino a determinare una vera e propria inversione su un'ampia area
a valle.
Il GIS é risultato di particolare efficacia anche nell'elaborazione della carta delle isopache, che rappresenta la profondità
di soggiacenza della superfice piezometrica rispetto alla superfice topografica.
Una rappresentazione 3D mostra come essa sia stata ottenuta dalla sovrapposizione della carta piezometrica ad un dettagliato DTM.
Questa modellazione ha permesso di delineare le aree di risorgiva già note, per la presenza di sorgenti e di pozzi artesiani,
e di individuarne altre completamente sconosciute (queste ultime eventualmente sfruttabili con opere di presa orizzontali).
Allo stesso modo sono state definite le aree nelle quali la falda non gode di una sufficiente protezione.
Per il resto dello studio la Carta delle Isopache ha fornito uno dei parametri guida seguiti, insieme ad altri,
nell’individuazione delle aree idonee alla perforazione, ovvero il grado di protezione offerto, con il loro spessore,
dai terreni di copertura.
Le analisi di laboratorio hanno permesso di definire le acque studiate appartenenti ad una famiglia bicarbonato calcica (A),
tuttavia diversi sono risultati i punti d’acqua con arricchimenti in altri elementi, via via legati evidentemente a specifici
fattori.
Le carte degli elementi, che rappresentano le distribuzioni areali delle varie determinazioni
chimico-fisiche, hanno consentito di correlare tali anomalie alle varie captazioni o ad altri fattori
esterni (geolitologici, antropici etc.).
Per alcuni pozzi, elevati tenori di sodio e potassio, sono stati correlati con maggiori tempi di permanenza
nella roccia metamorfica di base, mentre i caratteri contrapposti di altre captazioni sono con ogni probabilità
da addurre ad un differente livello di attingimento.
In alcuni casi la concentrazione degli ioni cloro e ammonio superiore alla media, e comunque appena
sopra i limiti consentiti (NH3) o a quelli raccomandati (Cl) è stata considerata indicativa di
contaminazione organica, legata con ogni probabilità alla vicinanza del Torrente Candrilli.
Come per il Sant'Anna, anche in questo Torrente sono evidenti le tracce di inquinamento da scarichi fognari,
mentre tracce di inquinamento batterico sono state rinvenute in una delle ultime perforazioni realizzate.
La contaminazione avverrebbe per infiltrazione diretta dal sub-alveo.
Una vera e propria anomalia è stata riscontrata in uno dei pozzi di misura, per il quale
le carte di temperatura, pH e conducibilità lascerebbero pensare a cause naturali, legate alle litologie attraversate,
ma le concentrazioni di quasi tutti i parametri chimici determinati lasciano invece supporre che
al suo interno possano essere state sversate sostanze inquinanti.
Lo studio ha messo dunque alla luce tutti i limiti di un acquifero sovrasfruttato, benchè di limitate potenzialità, e soggetto
a fenomeni di inquinamento legati con ogni probabilità ad alcune delle attività produttive presenti nell'area, ma anche alla
presenza di pozzi diventati vere e proprie fonti di pericolo.
L'area si è quindi rivelata di scarso interesse per il CSI, sia per le limitate potenzialità, che per la scarsa qualità
delle risorse idriche sotterranee. Allo stato attuale è stato abbandonato il programma di realizzare nuove perforazioni, mentre
è al vaglio l'opportunità di estendere lo studio su ambiti adiacenti.
Lo studio per il “Recupero, riqualificazione e messa in sicurezza dell’area nei pressi del Castello di Vibo Valentia”
ha visto un’approfondita fase preliminare di fotointerpretazione ed una altrettanto accurata fase di campagna durante la quale,
data la particolare asperità dell’area, si è addirittura reso necessario l’impiego di attrezzature e tecniche di progressione
speleo-alpinistica.
Per effettuare i necessari rilievi strutturali si è infatti disceso più volte l’intero versante effettuando, oltre alle
consuete misurazioni, prelievi di campioni della roccia affiorante.
I dati raccolti lungo le varie scan-line sono stati trattati statisticamente, in modo da evidenziare l’organizzazione delle
discontinuità in sistemi aventi caratteristiche geometriche ben definite mediante l'ausilio di stereonets e di rose diagrams.
I diversi joint set individuati, con la loro intersezione orientata a franapoggio ad angolo minore della parete, non solo
individuano diedri di roccia il cui distacco per scivolamento è cinematicamente possibile, ma finiscono per isolare blocchi che
possono dar luogo a crollo per semplice ribaltamento.
Il lavoro è quindi proseguito con l’elaborazione di un modello digitale del terreno sulla base del quale sono state operate le
elaborazioni di routine per arrivare ad ottenere, tramite una serie di elaborati intermedi (litotecnica, geomorfologia, pendenze, uso del suolo),
la carta della instabilità potenziale.
Lo stesso modello digitale del terreno è stato quindi al centro di una interessante fase di simulazione del fenomeno della caduta
massi, che i rilevi strutturali hanno dimostrato essere il principale attore dell’evoluzione morfologica del versante in studio.
Una volta definita l’area sorgente ed i caratteri meccanici e strutturali dei potenziali blocchi, il modello digitale del terreno
ha consentito una verifica tridimensionale delle loro possibili traiettorie, delle velocità, e delle loro altezze rispetto alla
superficie topografica dell’intero versante.
Il software utilizzato è infatti in grado di simulare tre dei quattro stati del moto cui un masso, in caduta lungo un versante, può
dare luogo:
Le iterazioni di calcolo hanno tenuto conto della variabilità naturale dei parametri che controllano il fenomeno, ed in particolare la dissipazione della velocità (o dell’energia) durante gli urti e nelle fasi di rotolamento grazie a:
L’area sorgente, estesa ca. 33.000 m², è stata discretizzata in celle di 1.00 m di lato, e da ciascuna di esse è stato quindi simulato il distacco di 2 blocchi.
La carta delle possibili traiettorie
è ottenuta con un contatore delle traiettorie di caduta. In pratica ogni cella
del modello indica il numero di traiettorie dei blocchi in caduta transitati, anche in volo, sulla sua verticale. Più elevato è il valore del
contatore, maggiore è il numero di potenziali traiettorie che possono interessare una determinata cella, e di conseguenza è più elevata
la condizione di pericolo ad essa associato.
La carta delle massime velocità
indica invece, per ogni cella, la velocità massima calcolata lungo le traiettorie
transitate, sia in volo sia al suolo.
La carta delle massime altezze da terra
rappresenta infine, per ogni cella, la massima altezza da terra delle
traiettorie di caduta. Ogni cella indica la massima differenza di quota raggiunta, sulla sua verticale, dai punti delle varie
traiettorie transitate e la superficie topografica.
Le simulazioni effettuate hanno permesso di trarre le seguenti conclusioni:
Dalla relazione finale dello studio è stato infine estrapolato lo Studio di Compatibilità Geomorfologica da sottoporre all’Autorità
di Bacino Regionale per il rilascio del necessario parere di competenza (lo studio ha infatti interessato aree a rischio di
frana R4 ed R3 del PAI).
La richiesta ha ottenuto esito favorevole, e il lavoro è stato giudicato di "elevato livello di definizione
e congruenza”, oltre che "corretto ed esaustivo per quanto riguarda l’inquadramento normativo degli interventi in progetto".